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Le Neuroscienze in Azienda: un aiuto per promuovere il Well-Being e ridurre lo Stress lavoro-correlato

Il lavoro occupa gran parte della nostra vita. Ogni mattina ci svegliamo, ci prepariamo e ci rechiamo nello stesso posto, in media per otto ore al giorno e per circa 30-40 anni. Molto spesso, per arrivare a svolgere il lavoro che ci piace abbiamo iniziato a studiare molti anni prima, compiendo sacrifici, rinunciando ad aperitivi con gli amici, alle feste e ai weekend fuori porta, e altrettanto spesso potremmo aver accumulato esperienze negative e diverse porte chiuse. O anche peggio, potremmo trovarci nella situazione in cui stiamo svolgendo un lavoro che non ci piace e non possiamo fare altrimenti.

Quando si lavora a pieno ritmo, il tempo per noi stessi, per le nostre famiglie e per i nostri interessi viene ridotto drasticamente: da ciò possiamo intuire quanto sia di fondamentale importanza far sì che il luogo di lavoro sia il più sereno, inclusivo e funzionale possibile, adatto alle esigenze del singolo lavoratore e in modo tale da poter promuovere quanto più possibile quel concetto noto come work-life balance.


Lo stress lavoro-correlato e le sue conseguenze

In relazione al contesto aziendale sentiamo spesso parlare di stress lavoro-correlato, che può essere descritto come la percezione individuale di un’eccessiva mole di richieste (emotivo-relazionali o da elevata attività) da parte dell’ambiente che superano le risorse necessarie per affrontarle e che, nei casi più gravi, può condurre al burn-out, una condizione di esaurimento causato da un estremo stress cronico in ambito lavorativo.

Lo stress è un costrutto che non presenta solamente conseguenze sul piano psicologico, ma anche su quello fisico. Dal punto di vista psicofisiologico lo stress influenza il sistema nervoso da cui partono numerosi segnali di natura ormonale. Questi segnali influenzano diversi sistemi del nostro corpo: accelerano il battito cardiaco, aumentano la frequenza respiratoria e producono adrenalina e cortisolo che agiscono sul sistema immunitario, indebolendolo. Quando lo stress è acuto tale risposta fisiologica è utile e necessaria ad affrontare la situazione stressante in modo ottimale, ma quando cronicizza si hanno ripercussioni non soltanto sulle performance lavorative, ma anche sul benessere psico-fisico. Il sistema nervoso ne risente e si presentano difficoltà attentive e di memoria a causa dell’effetto del cortisolo sull’ippocampo (McEwen, 2004) e ad alterazioni nelle funzioni esecutive, il sistema cardiovascolare iperstimolato conduce a problematiche cardiache, viene inibita la produzione di globuli bianchi da parte del sistema immunitario e si possono presentare ulteriori sintomi come quelli gastrointestinali, dermatologici o del tono muscolare con conseguenti algie (Wolkowitz et al., 2011). Parallelamente, i sintomi di natura psicologica includono percezioni negative di sé, del lavoro e della vita, abbassamento dell’autostima, senso di inadeguatezza, costanti stati emotivi negativi come rabbia e ansia, alterazioni comportamentali che conducono all’adozione di stili di vita poco sani fino ad arrivare a depressione, abuso di sostanze, eccessiva reattività agli stimoli e sintomi dissociativi.

Oltre ad intaccare la sfera personale, uno stress eccessivo influisce anche sulle performance e sull’approccio al lavoro, manifestandosi attraverso un maggiore assenteismo, un aumento del turnover e dei licenziamenti, più errori tecnici e incidenti e un calo della qualità del servizio e del risultato oltre che della propria soddisfazione lavorativa. Tutto ciò, oltre a rafforzare la propria condizione negativa, si ripercuote anche sull’azienda in termini di costi e di organizzazione. È stato infatti osservato che circa il 55% delle giornate di lavoro perse avviene a causa dello stress e che esso rappresenta uno dei principali problemi di salute legati al lavoro, con un costo stimato dall’Unione Europea di circa 136 miliardi di euro (European Agency for Safety and Health at Work, 2009).

Date queste premesse, possiamo immaginare quanto sia importante e fondamentale incrementare il benessere del dipendente attraverso la riduzione dello stress e la promozione di capacità interpersonali e di autoregolazione psicofisiologica.


Interventi per la promozione del benessere in ambito organizzativo

Lavorare affinché i dipendenti o i manager delle organizzazioni si trovino in armonia con loro stessi, le proprie emozioni, i propri vissuti e il proprio ambiente lavorativo è il filo conduttore tra il benessere personale e il risultato richiesto dall’azienda. In generale, gli interventi che si possono applicare possono essere svolti sul gruppo (ad esempio un gruppo di persone che lavorano in team o nello stesso ufficio) o sul singolo individuo (Quick, Quick & Nelson, 1998).
Gli interventi sul gruppo includono tecniche volte al supporto reciproco, allo sviluppo attivo dell’organizzazione o una combinazione di entrambi: si possono svolgere seminari informativi, eventi di formazione e di sensibilizzazione o condurre gruppi di lavoro mediante una metodologia nota come circle-time dove si apprende a rispettare il pensiero altrui e ad empatizzare con il prossimo, anche attraverso tecniche di alfabetizzazione emotiva, al fine di promuovere un ambiente di lavoro più sereno. Gli interventi sull’individuo sono mirati a promuovere il benessere del singolo attraverso tecniche di rilassamento, approcci somatici, training di neuromodulazione, meditazione, psicoeducazione, esercizi cognitivi, supporto psicologico o psicoterapia, per far sì che si riesca a gestire al meglio lo stress lavorativo nel momento in cui si presenta ottenendo una risposta più adattiva (Le Fevre, Kolt & Matheny, 2006) oppure riuscire a prevenirlo quanto più possibile.


Il ruolo delle neurotecnologie in azienda

Tra gli interventi sopracitati, si rivelano di particolare utilità le tecniche di neuromodulazione. Una di queste è il neurofeedback, che agisce a livello neurofisiologico promuovendo le capacità di autoregolazione e le performance cognitive. Nello specifico, il neurofeedback si basa sul condizionamento operante: attraverso degli elettrodi viene registrata l’attività cerebrale, la quale viene elaborata da un software e rimandata al soggetto attraverso un feedback che può essere visivo, come un videogame, o uditivo, come un brano musicale. Attraverso il feedback il soggetto riesce a regolare l’attività cerebrale per allenarla e ripristinare il proprio funzionamento ottimale, in quanto ogni protocollo viene costruito ad-hoc sulla singola persona, sulle sue necessità e sulla sua fisiologia.

Il neurofeedback è in grado di raccogliere le misure psicofisiologiche in tempo reale, tra cui gli indicatori dello stress, e segnalarlo al soggetto affinché possa agire per autoregolare la propria risposta, migliorando il rilassamento e la concentrazione (Patel, Asch & Volpp, 2015). Inoltre, può essere facilmente integrato con altre metodologie come la mindfulness o la psicoterapia.

Man mano che si procede con le sedute, il cervello impara ad autoregolarsi e i risultati si riflettono sulla vita di tutti i giorni: questo è possibile grazie ad un meccanismo neurobiologico noto come neuroplasticità, ossia la capacità naturale del cervello di modificarsi in risposta all’esperienza.

In tal modo, i benefici ottenuti dal lavoratore in termini di benessere personale si riflettono sulla vita lavorativa e su tutta l’organizzazione invertendo il trend precedentemente accennato: minor assenteismo, minor percentuale di incidenti ed errori, maggior propensione a collaborare, maggiore consapevolezza dei propri stati interni, meno comportamenti a rischio, maggiore lucidità nel decision-making, minori costi aziendali per la gestione delle conseguenze dello stress e così via.

In conclusione, l’introduzione di interventi così sofisticati, supportati scientificamente e che si avvalgono delle nuove tecnologie, volti alla promozione del benessere individuale e della gestione dello stress in azienda, può permettere un maggior contenimento degli effetti di tali variabili sul lavoro e sull’organizzazione impattando sul welfare, sulla produttività e, soprattutto, sulla sfera personale ed interpersonale delle persone che vi lavorano e sulla loro salute psico-fisica, garantendo un ambiente più sereno e lavoratori più felici.


Bibliografia

European Agency for Safety and Health at Work. (2009). European risk observatory report, OSH in figures: stress at work – facts and figures.

Le Fevre, M., Kolt, G.S., & Matheny, J. (2006). Eustress, distress and their interpretation in primary and secondary occupational stress management interventions. Which way first? Journal of Managerial Psychology, 21. 547-565.

McEwen, B.S. (2004). Protection and damage from acute and chronic stress: allostatis and allostatic overload and relevance to the pathophysiology of psychiatric disorders. Annals of the New York Academy of Sciences, 1032. 1-7.

Patel, M.S., Asch, D.A., & Volpp, K.G. (2015). Wearable devices as facilitators, not drivers, of health behavior change. JAMA – Journal of the American Medical Association, 313(5). 459-460.

Quick, J.D., Quick, J.C., & Nelson, D.L. (1998). The theory of preventive stress management of organizations. In C.L. Cooper (Ed.). Theories of Organizational Stress (pp. 246-268). Oxford University Press.

Wolkowitz, O.M., Reus, V.I., & Mellon, S.H. (2011). Of sound mind and body: depression, disease and accelerated aging. Dialogues in Clinical Neuroscience, 13. 25.


Autore
 
Dott.ssa Ambra Salvati
Psicologa esperta in Neuropsicologia. Precedentemente collaboratore di ricerca presso University of Oxford. Neurosystem team