ADHD e Teoria della Mente: la relazione tra difficoltà di attenzione e abilità sociali
L’ADHD
Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività̀ (ADHD) è un disturbo del neurosviluppo che si manifesta con sintomi di disattenzione e/o iperattività e impulsività, associati ad importanti difficoltà scolastiche e sociali (APA, 2013). I bambini con ADHD appaiono spesso distratti, “con la testa tra le nuvole” e disorganizzati, fanno fatica a stare fermi e seduti in classe e sono spesso invadenti e incapaci di rispettare il proprio turno nelle interazioni sociali (APA, 2013).
L’ADHD dipende dall’interazione di cause genetiche ed ambientali (Nigg et al., 2020). Secondo Barkley (2000) la ridotta capacità di controllare i comportamenti impulsivi, chiamata “controllo inibitorio”, rientra tra i principali elementi alla base del disturbo.
La Teoria della Mente
Il termine Teoria della Mente (ToM) fa riferimento alla capacità di riconoscere le intenzioni, i pensieri e i sentimenti degli altri distinguendoli dai propri (Hughes & Leekam, 2004; Szumski et al., 2019).
La ToM è alla base delle interazioni sociali e sembra associata al sistema dei neuroni specchio, collocato nella corteccia motoria e implicato nell’apprendimento per imitazione e nella comprensione delle intenzioni altrui (Rizzolatti, 2005).
Un’abilità centrale per la ToM è il controllo inibitorio: per “metterci nei panni degli altri” dobbiamo sopprimere temporaneamente i nostri pensieri automatici per dare maggiore importanza ai pensieri, alle credenze e ai sentimenti dell’altro (Pineda-Aluchema et al., 2018).
La Teoria della Mente nell’ADHD
A causa della loro difficoltà nell’inibire i comportamenti automatici, i bambini con ADHD non riescono a prestare la giusta attenzione a stimoli come l’espressione facciale o l’intonazione della voce. Questi elementi contengono informazioni utili per interpretare correttamente le situazioni sociali e mettere in atto un comportamento coerente con il contesto (Mary et al., 2016).
Inoltre, è possibile che si instauri un circolo vizioso per il quale questi bambini, impulsivi e incapaci di rispettare il proprio turno nelle interazioni, vengano esclusi dal gruppo dei compagni, perdendo preziose opportunità di socializzazione e rinforzando i comportamenti inefficaci e la risposta di ritiro sociale (Mikami & Normand, 2015).
Il trattamento dell’ADHD
Il trattamento combinato, farmacologico e cognitivo-comportamentale, rappresenta una delle strategie più efficaci e frequentemente utilizzate per la gestione dell’ADHD. I farmaci sono utili per ridurre i sintomi di disattenzione, iperattività e impulsività, mentre la terapia cognitivo- comportamentale si basa sul rinforzo positivo di comportamenti appropriati, anche attraverso l’insegnamento di queste tecniche a genitori e insegnanti (Feldman & Reiff, 2014).Tuttavia, una volta interrotto il trattamento, con il passare del tempo si potrebbe osservare una ricomparsa dei sintomi. Inoltre, la terapia farmacologica può presentare alcuni effetti collaterali, tra cui la riduzione del sonno e dell’appetito (Santosh & Traylor, 2000).
Il Neurofeedback e il trattamento dell’ADHD
Il Neurofeedback può rappresentare uno dei trattamenti sicuri ed efficaci nel lungo termine. Questo tipo di intervento si basa sul rendere il paziente consapevole della propria attività cerebrale. Questa viene registrata tramite Elettroencefalogramma (EEG) e restituita al paziente sotto forma di feedback visivi o uditivi, in modo che possa imparare ad auto-regolarla (Russell-Chapin et al., 2013).
Uno dei protocolli utilizzati nel trattamento dell’ADHD consente di:
ridurre l’attività corticale delle onde theta (4-8 Hz) per aumentare lo stato di allerta;
potenziare l’attività̀ delle onde beta (15-21 Hz) per migliorare l’attenzione (Janssen et al., 2017; Enriquez-Geppert et al., 2019).
L’iperattività viene invece trattata rinforzando il ritmo sensorimotor (SMR) (Cueli et al., 2019), associato all’attività delle onde beta e delle onde mu (7-11 Hz) (Jeunet et al., 2019). Le onde beta sono implicate nell’attenzione (Janssen et al., 2017; Enriquez-Geppert et al., 2019), mentre le onde mu sembrano legate all’attivazione del sistema dei neuroni specchio. Alcune ricerche hanno dimostrato infatti che una maggiore soppressione dell’attività mu ottenuta grazie al Neurofeedback è associata ad una migliore capacità di riconoscere le emozioni e di interagire socialmente. (Oberman et al., 2015).
Questi risultati appaiono promettenti: il training potrebbe infatti avere effetti positivi anche sulle abilità sociali dei bambini con ADHD, aumentando le possibilità di sperimentare interazioni sociali più efficaci e riducendo l’isolamento ed il ritiro.
Bibliografia
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